Spot, tifo e giocatori star: è rugby mania - Corriere della Sera

Spot, tifo e giocatori star: è rugby mania - Corriere della Sera: "MILANO — Se ti ritrovi a pubblicizzare sui giornali una cosa che, fino a qualche anno prima, dovevi pagare di tasca tua, significa che hai svoltato. L'esperienza, sicuramente piacevole, la stanno vivendo i giocatori della nazionale italiana di rugby, colpiti da improvviso benessere e inaspettata popolarità dopo le vittorie nel Sei Nazioni contro Scozia e Galles. Dovevano comprarsi lo smoking per le cerimonie ufficiali (la federazione dava un contributo di 800 mila lire), oggi degli smoking (gratis e su misura) sono diventati apprezzatissimi testimonial.

Le italiane, gli italiani (e i pubblicitari italiani) stanno scoprendo una nuova squadra per la quale fare il tifo, soffrire, gioire e sulla quale investire. Sono i ragazzi del rugby. Grandi, grossi, simpatici e ora anche vincenti. Sabato scorso la loro partita contro il Galles, trasmessa su La7, ha ottenuto uno share medio del 10.32% con un milione e 150 mila spettatori e una media contatti di 4 milioni e 300 mila spettatori. Niente male per un sabato pomeriggio di marzo. «Siamo di fronte a un vero fenomeno di massa, un'ondata emotiva che sta contagiando tutta l'Italia come accaduto in passato per la Coppa America di vela» assicura Antonio Campo Dall'Orto, a.d. di Telecom Media Italia.

Piacciono i Mauro e Mirco Bergamasco, i Troncon, i Parisse, gli Scanavacca e i Pez. E se forse il Times ha esagerato scrivendo che «L'Italia travolta dagli scandali del calcio ha trovato un gruppo di nuovi eroi dei quali andare fiera», è un fatto che per i rugbisti molti si siano messi in coda. Alla Borghesiana, il quartier generale romano dove la nazionale sta preparando la partita di sabato prossimo con l'Irlanda, l'ultima del Sei Nazioni 2007, piovono richieste per comparsate televisive e passaggi radiofonici, molte delle quali non possono essere soddisfatte perché il rugby e le paillettes non vanno troppo d'accordo e per reggere le battaglie settimanali contro britannici, celti e francesi bisogna lavorare tanto e bene. Piacciono, i rugbisti, perché sono meno banali di quanto uno possa aspettarsi (molti sono iscritti all'università, quasi tutti parlano due, tre lingue) e perché rappresentano qualcosa, valori per la precisione. Il loro è uno sport particolare e basta andare una volta a vedere una partita per rendersene conto.

Negli stadi del rugby non ci sono reti né poliziotti, i tifosi sono mischiati, gli arbitri non si discutono e i giocatori, dopo essersele date di santa ragione, si abbracciano e vanno a mangiare e bere insieme, come vecchi amici, al terzo tempo («La pace più bella del mondo dopo la guerra» secondo il grande del passato Marco Bollesan). «Il rugby è duro ma rappresenta i veri valori dello sport» ha detto il ministro dello Sport Giovanna Melandri l'8 marzo, quando andò a salutare gli azzurri reduci dal trionfo di Edimburgo. Proprio lassù, in Scozia, lo scorso 24 febbraio, l'Italia del rugby cambiò la sua vita perché quella di Murrayfield resta la madre di tutte le vittorie e l'origine di quello che è venuto dopo. Due i segnali, chiari: la cascata di messaggi appena finita la partita (da Romano Prodi in giù, a Gennaro Gattuso e Tiziano Ferro: politica, calcio e spettacolo); gli applausi al ritorno, a Fiumicino. Cose nuove per un rugbista, abituato a essere riconosciuto e salutato in Francia o in Inghilterra (dove la maggioranza degli azzurri gioca) non in Italia. «Adesso però capita anche a Roma di essere fermati» racconta Sergio Parisse, l'uomo del match sabato scorso contro il Galles. Cominciano a conoscere i loro giocatori gli italiani e sempre più italiani cominciano a giocare a rugby, giovani soprattutto. Nel 2000, anno dell'ingresso dell'Italia nel Sei Nazioni, i tesserati erano 30 mila. Oggi sono 42 mila.

Il boom di questi giorni non viene dunque dal nulla, ma il ritmo di crescita si sta impennando. E il problema, adesso, è controllarla la crescita. Fino a un mese fa il Flaminio, 25 mila spettatori scarsi, piccola parrocchia paragonata alle cattedrali britanniche, sembrava più che sufficiente per le partite della nazionale. Adesso non più. I biglietti non si trovano e la federazione ha dovuto dire no a migliaia di richieste di gente comune e a centinaia di richieste di gente meno comune. Giancarlo Dondi, il presidente, si aspetta che qualcosa succeda e minaccia, in caso contrario, di portare la nazionale a Bologna. Non sarebbe una bella cosa, ma potrebbe succedere. Quelli del rugby parlano poco. Ma quando dicono una cosa, di solito la fanno.
Domenico Calcagno"

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